il talento di Muhammad Ali, o la storia di un mito

nelson mandela

Ha fatto la storia del suo sport, ma non solo. Dentro e fuori dal ring, il talento di Muhammad Ali ne ha fatto un esempio per molti. Sicuramente un pezzo di storia, sportiva e non solo.

Se dico “vola come una farfalla, pungi come un ape” tutti sappiamo che sto citando quello che per molti è il più grande pugile di tutti i tempi. Anche senza essere appassionati dei guantoni, tutti ne hanno sentito parlare. Lui se lo aspettava, o forse lo sognava per se stesso, tanto che si era soprannominato da solo “The greatest”, il più grande. Ma il talento di Muhammad Ali, che lo ha portato a essere un simbolo non soltanto del suo sport, è la radice di una storia che vale la pena raccontare.

Il talento di Muhammad Ali, la nascita sportiva di un predestinato

Quando nasce a Louisville, nel cuore del Kentucky segregazionista, e allora in guerra, è il 17 gennaio 1942 e nessuno può immaginare chi quel bambino diventerà. Del talento di Muhammad Ali ancora neppure si sospetta; anche perchè il piccolo viene battezzato Cassius Marcellus Clay Jr. Con questa apparente eco latina – dirà poi – un tipico nome da proprietario di schiavi. Ma è con questo nome che inizierà a farsi conoscere, molto presto, sui ring. Il talento del futuro Muhammad Ali viene notato – si dice, e così riporta Skytg24 – Joe Martin, un poliziotto della sua città che lo nota prendere a pugni un ragazzino che ha cercato di rubargli la bicicletta. Cassius ha 12 anni. Il consiglio di regolare la sua aggressività coi guantoni non può essere più azzeccato.

Il talento di Muhammad Ali, che è ancora Cassius Clay, è evidente da subito. Ancora è un dilettante quando nel 1960 arriva a Roma, per le Olimpiadi. Ci arriva in nave, perchè ha paura di volare. Ma la scomodità della traversata non lo ostacola, anzi. Vince l’oro Olimpico nei mediomassimi sotto il cielo italiano. Ha compiuto da pochi mesi 18 anni, nel suo Paese (e all’epoca, anche in Italia) non è ancora maggiorenne. Nonostante qusto, racconterà, nel suo paese resta un diverso. Poco dopo il ritorno dall’Italia da campione olimpico, dirà, un ristorante si è rifiutato di servirlo per via del colore della sua pelle.

Tuttavia, con la gloria arriva l’esordio nei professionisti. Con la maggiore età – per la precisione l’anno dopo, ventiduenne, batte Sonny Liston e ottiene la corona da campione dei pesi massimi. A questo punto la sua è già l’epopea di un predestinato. Ma da qui in poi cambia tutto (o forse no).

Nasce il talento di Muhammad Ali

Poche ore dopo la proclamazione, annuncia la propria conversione, e il cambio di nome. Cassius Marcellus Clay non esisterà più. Vede la luce il talento di Muhammad Ali (o Mohamed, o Mohammed. a seconda delle traslitterazioni: l’arabo infatti può essere vocalizzato in modo diverso). Comunque sia, è nato il mito che oggi conosciamo. Aveva già cominciato da tempo a far notare il suo carisma, allenamenti e match erano sempre in bilico tra provocazione e spettacolo. Ma ormai è, senza dubbio, il più forte. La sua fede e le sue scelte – ci torneremo – lo ostacoleranno, ma fino al 67 resta il campione. Dopo una pausa imposta dal suo rifiuto ad arruolarsi, perdendo gli anni più importanti della sua vita sportiva, sfida il campione in carica Joe Frazier e viene sconfitto al 15esimo round.

Tornerà campione, ma deve aspettare il ’74 e l’epico combattimento a Kinshasa contro George Foreman. Si tratta del march noto come “Rumble in the jungle”, quello di cui rimane l’iconico urlo: “Ali, bomayè”. Alì, uccidilo, che diventerà, molto oltre lo sport, un simbolo dell’orgoglio nero. Batterà infine Frazier, in un mach brutale nelle Filippine, a Manila,  l’anno dopo. Ma sarà l’inizio della fine del talento di Muhammad Ali, la cui carriera si chiuderà dopo sconfitte non degne del suo talento. Si sono già affacciati i primi segni del Parkinson, diagnosticato nell’84.

Il talento di Muhammad Ali e il suo esempio fuori dal ring

Sarà lui ad accendere il braciere delle olimpiadi americane del 96, ad Atlanta, ma prima di allora il suo rapporto con gli USA è stato travagliatissimo. Le sue scelte, però, ne hanno fatto – d’altro canto – un esempio di riscatto per tutti gli afroamericani e i neri in generale. La pausa nella sua carriera, infatti, è dovuta a una precisa scelta. Quella di non andare a combattere la guerra del Vietnam perchè, dirà,  “Non voglio uccidere altre persone – dirà – solo perché il dominio degli schiavisti bianchi sulla gente di colore possa continuare”.

Una scelta che gli costerà tre anni di squalifica e il titolo. Già prima, la sua conversione era stata una rivoluzione e uno strumento per dar vita a una attaglia per i diritti dell’uomo e la libertà di religione. Muhammad Ali Aderì alla Nation of Islam e ai Black Muslims, e la sua fede non fu più separabile dal resto.

Con il tempo, gli ideali diventano più importanti dei successi e della fama, e il talento di Muhammed Ali viene messo a servizio di scelte etiche su cui non è disposto a transigere. Una forza e un coraggio che dimostrerà anche alle Olimpiadi di Atlanta e poi di Londra, quando porterà la torcia pur fiaccato dalla malattia. Anche in questo è stato un esempio: nessuno deve vergognarsi, diceva quel corpo ormai stanco. In effetti, in realtà, forse è stato questo il segno più importante del talento di Muhammad Ali. Molto al di là delle vittorie sul ring, del personaggio carismatico, per molti e per tutta la sua vita Ali è stato, suggerisce Deejay.it “il capofila degli oppressi, dei discriminati, del terzo mondo, dei pacifisti, dei convertiti, di chiunque avesse bisogno di una spinta per far sentire la propria voce, di chiunque cercasse un riscatto”. Questo era il suo maggior talento.

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