Se il talento è una dote in certa misura innata, significa che non si stabilisce se e quale possedere, in che cosa e in quale modo si eccellerà. Questo convince molti, sia i talenti sia chi li osserva, che il talento non necessiti di altro che di essere seguito, e messo a frutto. Il resto non serve. Non servono, soprattutto, regole dentro le quali imbrigliarlo. In genere è così che nasce quello che si dice un talento ribelle.
Per qualcuno, un talento destinato a consumarsi presto, secondo altri, l’unico che può essere considerato veramente tale. Chi ha ragione?
Nello sport, chi è il talento ribelle?
La cronaca, soprattutto nello sport, è piena di grandi talenti considerati ribelli, persone consapevoli delle proprie doti abbastanza da non curarsi del resto. O, semplicemente, insofferenti alla disciplina e alle regole anche quando ci mettono tutta la buona volontà. O ancora, semplicemente, talenti sorretti da caratteri fumantini e facili all’ira. Capaci magari di sfruttare questo tratto del loro carattere per farsi conoscere meglio, per creare intorno a sè un personaggio, provocatore e libero, da amare follemente o detestare senza misura. Si tratta, in genere, di atleti – o artisti – capaci di farsi ricordare anche – se non soprattutto per atti sopra le righe. Tanto che i giornalisti hanno spesso creato neologismi appositi per definirli. Chi non ha mai sentito parlare di Cassanate, o di Balotellate ad esempio? O delle uscite smargiasse di Ibrahimovic o Mourinho? Gesti che accompagnano chi li compie, rendendolo ad alcuni simpatico e a tutti indimenticabile.
Talento ribelle, talento sprecato?
La ribellione, però, ha la condizione del talento. Se la può permettere solo chi è veramente dotato, capace di gesti atletici in grado di zittire qualsiasi detrattore. Chi sa di essere un campione a cui nulla si può dire. In genere, infatti, i ribelli sono campioni capaci di gesti tecnici straordinari, giovani baciati dalla sorte che fanno intravvedere un futuro pieno di successi. Che però, a volte, non mantiene le promesse nel corso degli anni, proprio per impazienza. Sono stelle che brillano con più luce degli altri, ma può succedere che brucino molto presto, quando il talento puro non è più sorretto dal pieno vigore fisico o dalla pazienza. Oppure, in modo vistoso quanto sul campo, finiscono con il farne una più grossa delle altre, portando al limite la sopportazione altrui. Oppure – come Cassano – riconoscono quando la voglia e l’incoscienza sono venute meno, e decidono di farsi da parte. Sarà quello il caso dei molti talenti che scelgono di lasciare il proprio campo nel loro momento migluore, anzichè aspettare il declino? Alcuni mettono la testa a posto. Dopo, per tutti il talento è altrettanto visibile?
Rompere le regole è necessario
C’è però anche chi pensa che, quando si parla di talento, essere refrattari alle regole non significhi bruciarsi. Al contrario, che andare contro le regole sia necessario a fare emergere il vero talento. Questo, ad esempio, è il caso del talento creativo, ma anche di quello produttivo. Se siete curiosi di come sono nate le più grandi aziende che oggi fatturano miliardi, o andate a leggere la storia delle grandi invenzioni, troverete quasi sempre storie di persone che si sono sentite ricordare a lungo cosa non potevano fare. E lo hanno fatto. Questo è il caso di Pixar e Apple, ad esempio, ma anche dello Chef Massimo Bottura e tanti altri. L’economista Francesca Gino, docente della Harvard Business School, ha dedicato proprio a loro un libro, un omaggio al talento ribelle. Perchè? Perchè sono creativi, innovatori, non si accontentano delle comode strutture della tradizione ma inventano qualcosa di nuovo, creano dove non c’era, e cambiano le cose. Proprio andando contro all’autorità, alla storia precedente, e a chi detta le regole.
Talento ribelle o metodico?
Allora, qual è il vero talento? Tornando alla metafora calcistica, gli esempi si sprecano. Si potrebbe farne due, per rendere l’idea. A tenere le parti del talento ribelle potrebbe esserci Maradona. Bello da vedere sul campo al punto da passare alla storia come uno dei più grandi calciatori del mondo, da essere diventato, non solo nelle città in cui ha giocato, qualcosa di simile a un semidio, con tanto di edicole agli angoli delle strade. Fuori dal campo, però, ribelle in tutti i modi in cui era possibile esserlo, il perfetto “cattivo esempio”. Dall’altra parte, ci potrebbe essere Cristiano Ronaldo. Uno il cui talento, raccontano tifosi e compagni, è sostenuto da un lavoro maniacale. Il primo ad arrivare e l’ultimo ad andar via, ossessivamente concentrato ad allenarsi anche mentre nessun altro lo fa. Uno che le regole non solo le segue, ma ne crea anche di più stringenti. Ma è più forte Maradona o Ronaldo? A voi il giudizio.
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