Il Talento Inespresso

talento inespresso

Non tutti i talenti riescono ad emergere….

“Lo ricordo ancora. Era di un blu elettrico bellissimo. Era il più bel tamburo che avessi visto nella mia breve vita vissuta. Avevo circa 6 anni. Mio zio lo aveva ricevuto in dono e lui aveva deciso di regalarlo a me e a mio fratello per farci giocare. Avevo avuto un tesoro.

 

 E’ stato amore a prima vista.

Ho cominciato a percuoterlo prima con le mani,  poi con gli utensili da cucina che tanto somigliavano alle “bacchette” dei musicisti. Era meraviglioso. Io e il mio bel tamburo blu elettrico eravamo una cosa sola. E io mi sentivo “pieno” di gioia, mi sentivo VIVO.

Gli stessi sentimenti, ovviamente, non li provava mio fratello. Per lui era un giocattolo come tanti altri. E le litigate tra fratelli per poterlo usare erano inevitabili. Così inevitabili e rumorose che tanto esasperavano mia madre.

Finchè disse “basta”. Fu lei a mettere “fine” a quel gioco. Cosa fece? Ci saltò direttamente sopra, sfondandolo e rendendolo inutilizzabile. E’ stato forse il più grande trauma della mia vita. Un pezzo importante di me si era distrutto in quel momento e per sempre.

 

Per sempre? Non lo avrei mai permesso.

Continuavo a percuotere pentole, coperchi e tutto ciò che faceva rumore. Quel richiamo tribale era troppo forte per potermi fermare. Qualche anno dopo un mio caro amico batterista mi ha portato con lui alle prove con la sua band. In fondo alla sala prove c’era una vecchia batteria inutilizzata. Ho cominciato a suonarla. La mia sala prove era il piccolo garage di mio padre e la mia band era la radio. Accendevo la radio e io ci suonavo sopra le canzoni. Ho passato le giornate intere su quella vecchia batteria. Mi chiamava. E io dovevo rispondere. Forse avevo scoperto il mio talento? Anche perchè ero già piuttosto bravo.

 

Cosa era necessario fare adesso? Alimentare quel talento.

Come? Magari prendendo lezioni da maestri qualificati. Ma l’argomento era assolutamente fuori discussione per i miei genitori. E non per una situazione economica. Perchè purtroppo per loro la musica era “una perdita di tempo”. Io essendo un “maschio” per prima cosa dovevo “imparare un mestiere”. E dall’età di 9 anni ho cominciato come garzone di bottega (quasi 40 anni fa era ancora possibile). Alla fine il mestiere l’ho imparato facendo i corsi giusti e lavorando sodo, ma il vero amore che nutrivo per la musica e quel ritmo tribale battevano sempre all’unisono con il mio cuore.

Se l’unico modo per fondermi con lei era il mio garage, allora avrei trasformato quel piccolo ambiente nella sala prove più bella. Ho cominciato a mettere su piccole band con i miei amici musicisti e a fare le prime serate. L’adrenalina era alle stelle ogni volta che dovevo percuotere la mia batteria davanti al pubblico.

Ho cominciato a lavorare e con i primi miei risparmi ho acquistato la mia prima vera batteria (usata). Ma mancava ancora qualcosa.

 

Non bastava avere lo strumento fisico per alimentare quel talento.

Erano necessarie le lezioni, solfeggio, prove, l’acquisizione tecniche. Sono riuscito a pagarmi le prime lezioni intorno ai 28 anni. Avevo avviato la mia attività commerciale (sono un parrucchiere) e nel giorno di chiusura mi catapultavo dal maestro per poter apprendere il più possibile. Ho seguito lezioni per diversi anni. La mia sete finalmente veniva appagata. Mi sentivo più sicuro dietro la batteria e sempre ansioso di trascinare nel mio ritmo “tribale” il pubblico.

Adesso ho 48 anni, ho una moglie che mi ha sempre appoggiato sul discorso della carriera musicale e ho due figli.

Li osservo continuamente, li scruto, cerco di conoscerli in fondo. Io credo davvero che ognuno di noi abbia un talento che può sviluppare già dalla tenera età oppure più tardi. Il vero limite è che spesso, molto spesso purtroppo, i talenti non riescono a sbocciare o a formarsi come dovrebbero per la poca cultura del talento, per basso livello culturale che purtroppo avevano i genitori della nostra generazione, e anche per questioni economiche.

Il mio vero rimpianto è quello di non essere stato per nulla sostenuto nè dai miei genitori nè da altri familiari e conoscenti, di essere a volte etichettato per qualcuno che spreca la propria vita dietro la musica e di non aver fatto il conservatorio. Probabilmente avrei suonato molto di più e avrei vissuto altre situazioni musicali e calcato palcoscenici più importanti, e magari poter fare della musica la mia carriera. D’altro canto sono fiero di me stesso perchè tutto quello che sono riuscito a costruire e a creare è stato frutto delle mie sole mani e dei miei grossi sacrifici anche economici.

Sono caduto, spesso mi hanno fatto cadere, ma mi sono sempre rialzato, perchè ho sempre creduto in me stesso.

Io intanto continuo ad alimentare il mio telento….e spero di essere  presto il primo sostenitore del talento dei miei figli.”

Questa è la storia di Vito che adesso ha 48 anni e un bagaglio di esperienze fatte di lotte e ferite per poter alimentare il suo talento e per poterlo offrire agli altri.

Perchè ogni talento inepresso è una perdita per  la collettività.

Pensiamo se il talento di Michelangelo fosse rimasto chiuso in un cassetto!! Non avremmo potuto godere di certe bellezze, non avremmo potuto provare emozioni davanti all’Arte, non ci sarebbe stata fonte di ispirazione per le altre forme di arte.

Il talento per poter essere scoperto e venire fuori al meglio ha bisogno di diversi fattori.

Prima di tutto ascoltare se stessi e capire cosa ci fa sentire VIVO, cosa ci fa vibrare.

Poi necessariamente devono subentrare altre figure nello scenario del talento pronto per sbocciare. Può essere il genitore, un parente, un maestro, un coach, un amico.

E il primo vero importante compito di queste figure è quello di alimentare la fiducia in se stessi, di far crescere l’autostima, di aiutare il talento a crederci sempre.

Purtroppo non sempre è così e la storia del nostro batterista  è davvero una dei tantissimi racconti di talenti sbocciati per metà e per i meno fortunati addirittura di talenti archiviati per sempre. Cosa sarebbe successo se i genitori di Vito gli avessero dato la possibilità di studiare musica da piccolo? Come sarebbe stata la sua vita adesso?

Dobbiamo sottolineare che c’è stato un passaggio della cultura del talento molto importante.

Se guardiamo lo scenario culturale e sociale di 30-40 anni fa notiamo una popolazione con un livello di istruzione medio bassa, dedita alla famiglia e soprattutto al lavoro. Gli obiettivi sono sempre stati il mantenimento della famiglia (solitamente numerosa), dove la cura della prole riguardava l’offrire una minima istruzione e soprattutto insegnare o permettere a qualche artigiano di insegnare un mestiere ai propri figli. Tutto il resto era una perdita di tempo e perdita di talenti.

La situazione attuale è completamente differente. Il livello di istruzione è decisamente salito e le famiglie sono diventate meno numerose. Si è più ambizioni nello studio e nel mondo del lavoro e la voglia di conoscersi e di alimentare una velleità artistica e non è sempre alta. E questa attenzione è riversata soprattutto sui figli già da piccolissimi. Si è forse più predisposti all’ascolto e al dialogo con i figli e se un bimbo chiede al papà di voler imparare a suonare la chitarra il genitore sarà assolutamente predisposto a fare sacrifici economici e di tempo per aiutarlo a realizzare quello che vuole, a sostenerlo, ad alimentare quel talento.

Nessuno saprà mai se davvero quello sarà il suo vero talento perchè magari cambierà idea, ma non sarà mai considerato come una perdita di tempo, piuttosto sarà riconosciuto come esperienza e come ricerca del proprio talento.

Allora genitori, i veri protagonisti del talento dei vostri figli siete proprio voi. Ascoltate, osservate, scrutate e sarete i primi spettatori un una bellissima crisalide che presto diventerà una meravigliosa farfalla del talento unica e rara.

 


 

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